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-dibattito su riforma delle professioni leg.: caso dell'UK

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Il dibattito sulla riforma della disciplina delle professioni legali in Inghilterra e nel Galles

GUIDO ALPA

Ordinario di Diritto civile dell’ Università di Roma La Sapienza e Presidente del CNF

Presidente on. AGEIE

(LE ATTUALITA' FORENSI - 31/08/2004  inserito sul sito del Consiglio Nazionale Forense)

 

1. Premessa. I documenti essenziali.

Nell’ultimo ventennio la regolamentazione delle professioni legali Inghilterra e nel Galles è stata oggetto di una attenta rivisitazione da parte di tutte le istituzioni interessate, che sono una ventina, e ovviamente da parte delle stesse categorie professionali, i barristers e i solicitors, che vi hanno partecipato direttamente e tramite i loro organi rappresentativi , rispettivamente il General Council of the Bar e la Law Society. La rivisitazione non è stata il frutto di una scelta improvvisata, anzi. Una poderosa ricerca, straordinariamente accurata,di Richard Abel, estesa per più di seicento pagine, ricostruisce la cronistoria delle diverse fasi in cui si è sviluppato il dibattito (English Lawyers Between Market and State. The Politics of Professionalism, Oxford, 2003). Il dibattito è tuttora in corso, ma secondo le previsioni dovrebbe concludersi alla fine del 2004.
Il libro di Abel, un docente della University of California a, sede di Los Angeles (UCLA) , che si è da molto tempo dedicato allo studio della disciplina della professione forense, è particolarmente significativo, perché raccoglie le posizioni dei partiti politici e i contrasti tra Tories e Labour, le affermazioni degli esponenti più qualificati, nonché il succedersi di alcune riforme parziali con cui si è modificata la disciplina del “Legal Aid” e si sono ammessi i solicitors alla difesa dinanzi ad alcune Corti, senza tuttavia unificare le due categorie professionali e senza incidere sulle competenze loro riservate da una augusta tradizione.
Abel sottolinea come, nonostante le spinte verso una “liberalizzazione” del mercato dei servizi legali proveniente dagli ambienti comunitari, l’opinione pubblica e le stesse istituzioni non abbiamo mai espresso critiche alla impostazione consegnata dalla tradizione, né abbiano mai rilevato che l’attuazione situazione, nella quale perdura la tradizione, abbia creato vincoli od ostacoli alla concorrenza nel settore.
Abel distingue tra la disciplina delle professioni dalla “politica della professionalità”, e critica – nel capitolo conclusivo della sua indagine – una certa miopia dei corpi professionali nell’accettare alcune modificazioni alla disciplina in atto. Si premura tuttavia di riconoscere al ceto forense inglese e gallese un’alta competenza, una apprezzabile correttezza nello svolgimento dell’attività, una attenta valutazione delle proposte ed una scrupolosa osservanza delle leggi di riforma parziale che si sono susseguite dal 1990 ad oggi.
Nell’ultimo lustro il processo di riforma ha subito un’accelerazione, dovuta in particolare alle sollecitazioni della DG Concorrenza delle Comunità Europee, a cui hanno fatto seguito interventi dell’Autorità antitrust (OFT), del Governo, del Parlamento e di altri organismi deputati a regolare il settore.
Queste note considerano gli esiti del dibattito e si ricollegano, idealmente, al punto in cui il discorso di Abel si conclude, in attesa degli eventi riformatori annunciati.
Per esaminare i punti nodali delle questioni emerse si deve tener conto di alcuni documenti essenziali che scandiscono questo processo, costituiscono la base della riforma progettata, e ne offrono una analisi critica.
Dei documenti si porranno in rilievo gli aspetti che in qualche modo investono la disciplina delle professioni legali in ambito comunitario e anche nel nostro Paese, tralasciandosi, per quanto possibile, le questioni che più direttamente concernono l’esperienza inglese (e gallese) e che non si riflettono , per le peculiarità di quel modello, sull’ esperienza italiana.
In via preliminare, tuttavia, val la pena di avvertire che si tratta di un modello nel quale, pur consentendosi l’impiego di messaggi pubblicitari, pur non prevedendosi tariffe imposte da organismi pubblici, le due categorie mantengono salde le loro posizioni tradizionali, il costo dei “servizi” resta (per opinione comune) assai elevato, il rango istituzionale delle due professioni è radicato e significativo, soprattutto il legame con l’amministrazione della giustizia e il ruolo politico dei barristers particolarmente rilevante, posto che per le giurisdizioni superiori i giudici sono estratti esclusivamente da questa categoria .
Anche se si considera soltanto l’ultimo torno d’anni, la documentazione è copiosissima. Occorre quindi effettuare una cernita che consenta di seguire gli sviluppi del processo in atto.
Il primo documento riguarda le conclusioni di una indagine affidata nel luglio del 2000 dal Director General John Bridgeman dell’ Office of Fair Trading (OFT) ad un istituto di ricerche (LECG) rivolta alla individuazione di eventuali restrizioni che, derivando da leggi, regole di autodisciplina, consuetudini e pratica forense, potessero avere l’effetto di prevenire, limitare o distorcere la concorrenza in alcune professioni in Inghilterra e nel Galles. Le professioni considerate solo quelle dei solicitors, dei barristers, dei “contabili”( noi diremmo dei dottori commercialisti, ma anche dei revisori e delle categorie assimilabili) e degli architetti (Restrictions on Competition in the Provision of Professional Services.A Report for the Office of Fair Trading by LECG Ltd., December 2000).
Il secondo documento è il rapporto predisposto dal nuovo Director General, John Vickers, nel marzo del 2001 sulla concorrenza nelle professioni, e costituisce una presa di posizione, per la verità solo interlocutoria, dell’autorità di garanzia della concorrenza.
Il terzo documento è il testo predisposto nel marzo 2004 per la consultazione di tutti i soggetti interessati al fine di comprendere quali rimedi si potessero introdurre per migliorare il mercato dei servizi legali. Il testo è stato predisposto da un esperto, Sir David Clementi, per conto del Department for Constitutional Affairs, che nel luglio 2003 aveva redatto un rapporto in materia (Competition and Regulation in the Legal Services Market). Questo “consultation paper” chiedeva agli interessati di rispondere alle diverse questioni loro sottoposte nel termine del 4 giugno 2004, al fine di capire le loro reazioni, raccogliere i loro suggerimenti, e valutare la praticabilità di interventi di riforma.
Il quarto e il quinto documento raccolgono rispettivamente le risposte del General Council of the Bar e della Law Society.
In queste note si terrà conto solo delle considerazioni svolte a proposito delle professioni che riguardano l’attività legale, di volta in volta distinguendo le ipotesi in cui per il loro esercizio sia necessaria l’appartenenza ad una delle due professioni forensi (solicitors e barristers), e quindi si tratti di attività riservate, oppure se siano accomunate ad altre categorie professionali, con un’area di riserva più ampia, oppure ancora se siano praticabili da chiunque.



2. Il Rapporto LECG. Introduzione.
LECG è un istituto , costituito in società a responsabilità limitata, fondato nel 1988 dall’ Università di California, sede di Berkeley, a cui hanno aderito giuristi ed economisti; l’Istituto conta ormai diverse sedi in vari Paesi, ivi compreso il Regno Unito. Si occupa della redazione di ricerche, di indagini di mercato, di consulenze nei diversi settori del diritto e dell’economia.
Il Rapporto predisposto da LECG è composto di un testo di 143 pagine, diviso in nove capitoli, e di sette allegati. I capitoli riguardano: l’introduzione, descrittiva delle caratteristiche generali delle professioni indagate e del metodo seguito nella ricerca (I); la individuazione delle restrizioni alla concorrenza nel settore delle professioni (II); gli scopi della regolamentazione della concorrenza nell’esperienza inglese (III); le limitazioni alla concorrenza nella professione dei solicitors (IV) , dei barristers (V), dei contabili (VI), degli architetti (VII) ; l’insolvenza dei professionisti (VIII) ; seguono le conclusioni (IX). Gli allegati comprendono schede, missive e altri documenti di corredo.
Le premesse riguardano i possibili rischi che l’organizzazione attuale delle professioni indagate possono comportare per la libera concorrenza. Le professioni non sono definite nella loro qualificazione giuridica; la tipologia giuridica è assunta quale essa si è venuta conformando nel corso del tempo a seconda delle esperienze considerate : il Rapporto si occupa solo dell’ Inghilterra e del Galles ( ma tiene conto di altre esperienze); non riguarda invece la Scozia, in cui la competenza a regolare le professioni è di competenza governativa. Le professioni indagate sono rappresentate come attività che prevedono corpi amministrativi che regolano l’accesso ad una attività peculiare, mediante esami e tirocinii, che consentono a chi appartiene alla categoria di fare uso del titolo professionale.
Si precisa inoltre che la qualificazione professionale non consente di norma ai consumatori di valutare la qualità della prestazione ricevuta, in quanto molti “servizi professionali” non sono omogenei, e il rapporto tra gli input e gli output non è chiaro; in altri termini, un avvocato può essere un professionista eccellente, e tuttavia perdere la causa, e viceversa. La qualificazione professionale serve a garantire almeno un livello elementare di competenza, ed implicitamente quindi un livello qualitativo di base del servizio reso, soprattutto quando gli organi rappresentativi hanno il potere di revocare l’impiego del titolo professionale nel caso di negligenza o di incompetenza del professionista.
Il rischio, allora, riguarda i casi in cui il livello qualitativo all’ingresso supera le richieste di coloro che sono interessati ad acquisire il servizio; inoltre, tenere elevati i livelli di qualificazione all’ingresso costituisce un mezzo per tenere alti i guadagni di chi già appartiene alla categoria; in questa prospettiva le categorie danneggiate sono , da un lato, i clienti, costretti (talvolta) a pagare più del dovuto, e gli aspiranti professionisti che non riescono ad accedere alla categoria. Al fine di rendere più difficile l’accesso alla professione il rapporto individua diversi metodi, compreso quello di allungare il periodo di tirocinio. Il rapporto considera utili le “guide di orientamento” predisposte dagli organismi rappresentavi, che contengono in livelli ragionevoli i compensi professionali; ciò perché le guide possono agevolare i clienti e ridurre le asimmetrie informative; esse, tuttavia, possono anche sortire l’effetto perverso di ridurre l’accesso alla professione riducendo la concorrenza sulle tariffe applicate da chi già appartiene alla categoria.
Altri incentivi alle limitazioni della concorrenza- secondo l’ Istituto di ricerche - possono riguardare il divieto di costituire società tra professionisti con soci di solo capitale e società multiprofessionali, anche se queste restrizioni sono giustificate da ragioni fondate sull’ indipendenza dell’attività e sul mantenimento di livelli qualitativi elevati.
Insomma, il Rapporto sottolinea che le professioni hanno caratteristiche che “giustificano un livello di regolazione, anche se questa, o la semplice autoregolamentazione, possa implicare effetti negativi sulla concorrenza” (p. 5). Nell’interesse dei clienti e dell’economia in generale è necessario individuare un bilanciamento tra i benefici e i costi correlati a ciascuna situazione. Secondo il Rapporto, solo le autorità che governano la concorrenza possono individuare il punto di bilanciamento migliore.
Il Rapporto è frutto di una indagine che si è basata sulla raccolta di dati riguardanti le spese legali, i profitti, il numero dei professionisti, il numero delle società e delle aggregazioni professionali, le quote di mercato e così via. Il Rapporto tiene conto di altre esperienze, delle risposte ai questionari predisposti dall’ OFT, e si conclude con la rassegna delle restrizioni alla concorrenza rinvenute nella disciplina comunitaria, nella legislazione inglese (e gallese), nelle regole di autodisciplina, nelle consuetudini e nelle prassi o semplicemente nelle “percezioni di mercato”. Studia le connessioni tra limitazioni e rivela che dalle ricerche condotte non sono emerse preoccupazioni riguardanti la qualità, il prezzo o le innovazioni delle professioni. Le ragioni di queste reazioni possono essere spiegate in vario modo. O che le professioni forniscono servizi di alta qualità a prezzi ragionevoli. Oppure che i clienti non sono in grado di valutare il rapporto qualità/prezzo, ovviamente essendo più difficile fare questa valutazione quando si tratta di servizi piuttosto che non di beni di consumo.
Il Rapporto tiene a sottolineare che il metodo seguito nell’ indagine non ha mai proceduto considerando effetti restrittivi “potenziali” ma non accertati, né si è mai affidato a presunzioni, guardando solo all’effettivo aumento dei prezzi o al ribasso del livello qualitativo quali elementi turbativi della concorrenza.


3. (segue) Restrizioni alla concorrenza.
Dal punto di vista economico, il Rapporto precisa che il settore delle professioni ,oltre ad essere caratterizzato dalla presenza di organismi di autoregolazione e di rappresentanza delle categorie professionali, è connotato dalla concorde aspirazione di consumatori e di professionisti ad acquisire ( i primi) e ad offrire (i secondi ) la miglior combinazione di prezzo e qualità. Tuttavia, non essendo i consumatori in grado di effettuare una valutazione adeguata della qualità, a questa esigenza soccorrono gli organismi di autoregolazione, i quali però, possono, con le loro restrizioni, agire con ricadute anticoncorrenziali.
Dal punto di vista dei consumatori, i “servizi professionali” sono classificati come “experience goods”, beni che si possono acquistare solo dopo aver acquisito adeguate informazioni sul loro conto. Ma.come il Rapporto più volte sottolinea, vi è una asimmetria informativa tra chi offre e chi acquista il servizio. E’ una delle classiche ipotesi di market failure, che si traduce in alti prezzi, carenza di indicazioni sulla qualità, mancanza di scelte tra i servizi in offerta.
Per ovviare alla market failure si sono ideati rimedi diversi: regolamentati e non regolamentati.
Tra i rimedi non regolamentati il Rapporto indica: le garanzie contrattuali, il contenzioso, le guide informative per i consumatori, l’affiliazione del cliente, la fama professionale. Si tratta di rimedi considerati tuttavia poco efficienti, soprattutto per questo tipo di mercato.
Tra i rimedi regolamentati in Inghilterra si annoverano: le restrizioni dirette e indirette all’ingresso nella professione, nonché le restrizioni connesse con la condotta del professionista.
Le prime riguardano l’esame di accesso e il tirocinio: secondo il Rapporto (p.16) le condizioni della situazione inglese sono in linea con quella media degli altri Paesi a suo tempo indagati dall’ OECD. Le restrizioni indirette riguardano la ripartizione vincolante dei tipi di servizi, cioè la riserva legale, che può avere diversi oggetti, e le limitazioni all’aggregazione. La riserva legale per la difesa in giudizio è prevista in 18 dei Paesi europei considerati , la consulenza in 9 Paesi ( in Inghilterra invece non si prevede alcuna riserva); il settore dei trasferimenti immobiliari ( conveyancing) è presente in 14 Paesi,e la competenza relativa è condivisa in Inghilterra con altri professionisti.
Le seconde riguardano le regole di etica professionale, i codici di condotta, le regole di commisurazione della diligenza professionale, le tariffe professionali e le limitazioni alla pubblicità. Quanto alle ultime due categorie di limitazioni, queste non sono presenti in Inghilterra [anche se al riguardo si potrebbe integrare il Rapporto precisando che per i barristers vi sono limitazioni interne concernenti la pubblicità, per i solicitors vi sono regole di condotta per una pubblicità corretta, e per entrambi il costo dei servizi professionali, pur non essendo regolato, appare in media assai più alto di quello corrispondente alle tariffe applicate in Italia].
Il Rapporto ritiene che alcune limitazioni, come quelle relative ad una eccessiva selezione all’ingresso, alla ripartizione dei servizi mediante riserva legale, al divieto di pubblicità non siano in grado di risolvere i problemi di market failure. Si esplicita una preferenza per sistemi in cui la pubblicità è consentita, anche se essa implica un costo di esercizio della professione. Vi sono poi i meccanismi espliciti di restrizione della professione dati dalle collusioni tra professionisti, dall’innalzamento dei prezzi del concorrente, dall’innalzamento dei prezzi di chi offre il servizio.
Il Rapporto esprime il suo favor verso un mercato più liberalizzato in cui l’accesso alla professione sia meno restrittivo e il controllo della qualità sia affidato a corpi esterni agli organismi rappresentativi, quali le stesse autorità amministrative ovvero le associazioni di consumatori. Tuttavia, ammette che per ragioni di protezione del livello di qualità talune restrizioni possano essere ammesse (p.40).
A questo punto il Rapporto esamina sia la disciplina della concorrenza vigente in Inghilterra (The Fair Trading Act, 1973 e The Competition Act, 1998) sia le riforme che a partire dal 1970 sono state oggetto di discussione o di attuazione con riguardo alle diverse professioni, in primis le professioni legali. Si tratta di profili peculiari all’esperienza inglese, concernenti: il mantenimento della distinzione delle due categorie di professionisti, la riduzione delle spese di giustizia e l’accelerazione dei tempi processuali (White Paper, Modernising Justice; 1998; Access to Justice Act, 1999;New Civil Procedure Rules, 1999).
Il Rapporto esamina l’andamento del fatturato degli studi oggetto di indagine, l’andamento dei prezzi dei servizi, e le limitazioni alla concorrenza concernenti solicitors e barristers. L’analisi di mercato rivela, per i solicitors, che tra il 1996 e il 2000 vi è stato in incremento all’ingresso del 7%, ed il loro numero complessivo, nel 2000, era di 100.957. Il mercato professionale è ripartito in modo assolutamente ineguale, poiché il 31,9% degli introiti è di competenza dei cinque maggiori studi. Per i barristers si nota , quanto al numero, il medesimo incremento percentuale; nel complesso i barristers alla fine del 1999 erano 9.932 [Oggi peraltro sono quasi 11.000].
Al di là delle limitazioni usuali di cui si è detto, ciò che rileva – dal nostro punto di vista – è il modo con cui per entrambe le categorie si è risolto il problema della determinazione dei compensi.
Anche in Inghilterra si distingue tra corrispettivi dovuti per attività giudiziale e corrispettivi dovuti per attività stragiudiziale. Le spese giudiziali sono fissate dal giudice e sono a carico della parte soccombente.
Si deve però tener conto di alcune peculiarità di questa esperienza. Innanzitutto, il fatto che i solicitors si occupano, al di là della assistenza negli affari , di trasferimenti di aziende, di testamenti , di trasferimenti di proprietà immobiliari, cioè di attività in Italia riservate o per legge ai notai o per prassi ai commercialisti. Quanto alla determinazione dei compensi, nel 1995 è stata introdotta una disciplina che prescrive che la richiesta del solicitor sia “fair and reasonable”. Il Rapporto dà atto dei risultati di indagini promosse dalle associazioni dei consumatori, dalle quali risulta un’ampia oscillazione delle tariffe tra diversi studi professionali e per diversi settori di attività.
Anche per i barristers sono previste “guidelines”, ma la determinazione del loro compenso non è effettuata direttamente dal professionista, bensì dall’ Inn di appartenenza.
Le conclusioni ai cui perviene il Rapporto sono le seguenti:
(i) le Autorità di vigilanza della concorrenza sono i soggetti che, meglio di chiunque altro, possono effettuare il necessario bilanciamento tra costi e benefici ;
(ii) questo bilanciamento non presenta differenze significative nel settore delle professioni rispetto ad altri settori;
(iii) quanto alle barriere alla concorrenza: non vi sono prove che l’esame di abilitazione e il tirocinio professionale costituiscano un tentativo da parte delle categorie professionali di ridurre l’accesso a nuovi professionisti; mentre costituiscono un ostacolo alla concorrenza le limitazioni alle aggregazioni di professionisti e la riserva di attività, le limitazioni alla pubblicità, le guide sulla determinazione dei compensi (con particolare riguardo al probate).


4. Il Rapporto del Director General of Fair Tading.
A pochi mesi di distanza il nuovo Director General ha pubblicato un rapporto relativo alle professioni , tenendo anche conto delle osservazioni di LECG, ma sviluppando un proprio orientamento (Competition in Professions, marzo 2001).
Anche questo rapporto muove dalla considerazione delle professioni come un dato di fatto, senza pretesa di definizione giuridica. Le considerazioni sono svolte nella prospettiva economica, e riguardano l’impatto delle disciplina delle professioni sulla concorrenza. La premessa da cui muove il Director General è che le limitazioni alla attività professionale che comportano restrizioni anticoncorrenziali sono giustificate se:
(i) sono poste a tutela dell’interesse pubblico
(ii) sono utili per il progresso economico
(iii) i benefici che ne derivano sono condivisi con i consumatori
(iv) non sono eccessive e tali da eliminare la concorrenza.
Ulteriori premesse sono:
(i) la precisazione che l’analisi di questi fattori cambia nel tempo, sicché di volta in volta essi devono essere rivisitati alla luce delle condizioni date;
(ii) la precisazione che l’esistenza di restrizioni deve essere giustificata da chi le invoca, e quindi l’onere della prova che esse siano apprezzabili spetta a chi svolge la professione;
(iii) l’attività professionale deve godere delle medesime libertà economiche di cui godono le altre attività.
L’analisi procede con la descrizione delle caratteristiche delle professioni, con riguardo all’ingresso, alle regole di condotta, alle demarcazioni delle attività tra le professioni. Le restrizioni sono normalmente giustificate dalla asimmetria informativa delle parti, e quindi dalla impossibilità dei clienti di verificare la qualità del servizio; ciò implica le forme di autocontrollo e le restrizioni indicate.
Poiché scopo dell’ OFT è quello di verificare l’andamento del mercato con riguardo agli effetti che esso ha sugli interessi dei consumatori, la conseguenza è che qualora tali restrizioni avessero un impatto negativo sugli interessi dei consumatori esse dovrebbero esser eliminate.
A seguito del questionario inviato dall’ OFT nel maggio 2000 a tutte le categorie interessate e a seguito delle integrazioni proposte da LECG i punti sui quali si è incentrata l’attenzione sono stati i seguenti:
(i) la concorrenza nei prezzi
(ii) la pubblicità
(iii) i moduli organizzativi.
Il Director General condivide le conclusioni cui è pervenuto il rapporto di LECG, ed aggiunge ulteriori osservazioni. Si noti che le osservazioni riguardano tutte le professioni, e quindi tutti i tipi di “professional services”. In ogni caso, anche il DG condivide la posizione di LEGC relativa alla apprezzabilità delle restrizioni quando i destinatari dei servizi non siano in grado di valutare correttamente la qualità dei servizi.
Ritenuta la propria competenza, il DG si sofferma sulle singole restrizioni. In particolare, per quanto riguarda i servizi legali, il DG riconosce la compatibilità del legal professional privilege, cioè della riserva delle attività legali a solicitors e barristers, mentre contesta che, là dove l’assistenza possa essere effettuata anche da altre categorie professionali, la riserva sia giustificabile dal punto di vista della concorrenza.
Quanto alle barriere,a parte alcune considerazioni che riguardano specificamente la situazione inglese con il suo doppio tipo di professionalità, e le ulteriori peculiarità che riguardano soltanto i barristers ( che non possono associarsi tra loro e non possono avere rapporti diretti con i clienti) il DG segnala in particolare le restrizioni alla pubblicità, soprattutto quelle riguardanti la comparazione delle tariffe praticate.
Il General Concil of the Bar aveva risposto con osservazioni al documento del DG, ma è più semplice raccogliere queste osservazioni nell’ambito delle risposte al questionario proposto nel Documento di consultazione di cui si dirà qui di seguito.


5. Il Documento di consultazione sulla revisione del quadro normativo dei servizi legali.


Nel marzo del 2004 è stato diffuso il documento di consultazione (Consultation Paper) predisposto da Sir David Clementi per incarico del Secretaray of State for Constituional Affairs . Il documento fa seguito ad un rapporto pubblicato nel luglio del 2003, intitolato Competition and Regulation in the Legal Services Market, in cui il Dipartimento per gli Affari costituzionali esprimeva – in forma conclusiva – che l’attuale quadro normativo delle professioni legali in Inghilterra e in Galles è “obsoleto, rigido, eccessivamente complesso, insufficientemente affidabile e opaco”.
Il Consultation Paper (Review of the Regulatory Framework for Legal Services in England and Wales), analizza tutti i problemi sollevati in quel documento e nel momento attuale riguardanti le professioni legali, e chiede a tutti gli interessati di rispondere ad un questionario. Sulla base delle risposte lo stesso redattore completerà la sua indagine , che dovrà essere consegnata nel dicembre del 2004.
Il Paper prende in considerazione cinque settori di regolazione:
(i) le istituzioni attualmente competenti a disciplinare i servizi legali
(ii) il livello dell’autodisciplina
(iii) la reazione ai reclami contro gli avvocati e le questioni disciplinari
(iv) i settori non regolati
(v) le nuove problematiche.
Delle sei aree riservate alle professioni legali, solo due riguardano i settori comuni alla professione forense in Inghilterra e in Italia ( la risoluzione delle controversie e la rappresentanza in giudizio) essendo le altre, presso di noi, o libere o riservate ai notai (conveyancing, probate services, immigration advisory services, notarial functions). Grosso modo vi è corrispondenza per le materie appartenenti all’attività non riservata: la consulenza di carattere generale, l’amministrazione di proprietà immobiliari, la consulenza in materia di lavoro, la risoluzione stragiudiziale delle controversie ; nell’esperienza inglese si aggiunge la redazione di testamenti altrui, che, come è noto, presso di noi è riservata ai notai, se trattasi di testamenti pubblici, o dà luogo a nullità, se i testamenti sono olografi.
La differenza tra la nostra e l’esperienza inglese emerge anche dall’alto numero di istituzioni competenti in materia di disciplina delle professioni legali (Lord Chancellor, Master of the Rolls, Financial Services Authority, Office of Fair Trading, Attorney General, Judiciary, Rule Committees, Registrar of Patents Office, Legal Services Ombudsman, Law Society of England and Wales, Solicitors Disciplinary Tribunal, General Council of the Bar of England and Wales , Inns of Court, Institute of Legal Executives, Institute of Trade Mark Attorneys, Chartered Institute of Patent Agents, Council for Licended Conveyancers, ImmigrationServices Commissioner, Court of Faculties).
Alcune di queste istituzioni sono al tempo stesso rappresentative ed hanno poteri disciplinari. Il Paper illustra poi le differenze tra le due categorie di professionisti (solicitors e barristers), i requisiti ottimali della regolazione e i propositi dell’autodisciplina, e tiene in considerazione , a livello “internazionale” [sic], le direttive europee, le comunicazioni della DG Concorrenza, i principi del commercio internazionale vincolanti per chi opera sui mercati internazionali, le regole provenienti da organizzazioni internazionali come l’ ONU e il Consiglio d’Europa.
Tenendo conto di tutte le fonti, il Paper indica che attualmente le professioni legali in Inghilterra sono regolate o da norme statuali o da norme autodisciplinare o da norme di cooperazione tra istituzioni esterne alle professioni nonché da organismi interni ad esse.
Il Paper si preoccupa di sottolineare le ragioni che assistono la regolazione dei servizi legali, in altri termini di precisare perché è necessario che questi servizi siano oggetto di disciplina, piuttosto che essere offerti liberamente sul mercato. La regolazione:
(i) incrementa la fiducia e l’accesso dei cittadini alle istituzioni di vigilanza;
(ii) garantisce che l’attività professionale dia risultati soddisfacenti per i consumatori e per i professionisti;
(iii) protegge il consumatori se non mantiene in vita ingiustificabili restrizioni alla concorrenza;
(iv) garantisce l’appropriato standard di formazione, di tirocinio e di comportamento;
(v) garantisce il ricorso ai rimedi più appropriati per ottenere la protezione dovuta.
Per quanto riguarda in particolare coloro che esercitano l’attività forense la regolazione:
(i) garantisce il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi democratici ( “rule of law”);
(ii) agevola l’accesso alla giustizia;
(iii) promuove la conoscenza dei diritti fondamentali da parte di tutti i cittadini;
(iv) promuove gli interessi dei consumatori “informati” in ordine alla migliore qualità e ai prezzi più bassi;
(v) agevola la concorrenza tra professionisti [ si deve notare però,a questo proposito,che il Paper prende in considerazione le attività che, nella nostra esperienza, non sono riservate agli avvocati ];
(vi) rafforza la professione forense, la sua immagine e la sua efficacia.
Il Paper prosegue poi trattando questioni che riguardano direttamente l’esperienza inglese, quali i reclami e le regole di disciplina, i settori riservati, le lacune, l’organizzazione degli studi.
Ciò che rileva, dal nostro punto di vista, sono alcune delle questioni di comune interesse, concernenti i modelli di regolazione. Anziché valutare le questioni singolarmente, è utile esaminarle insieme con le risposte che sono state fornite dal General Council of the Bar e dalla Law Society.

6. Le risposte al Documento di consultazione rese dal General Council of the Bar e dalla Law Society

(a) Aspetti generali.
Le risposte dal General Council of the Bar (d’ora in poi, semplicemente Bar) e della Law Society costituiscono rispettivamente il quarto e il quinto documento che si commentano in queste note.
Il documento redatto dal Bar considera innanzitutto le attività riservate alle professioni legali (solicitors, barristers, licenced conveyancers, patent agents, legal executives) e le attività di natura legale accessibili da chiunque e sottolinea che anche queste attività , ove esercitate da un professionista, sono oggetto di controllo da parte delle istituzioni interne alle professioni, sicché i professionisti si debbono attenere alle regole proprie della loro professione ancorché trattino questioni non appartenenti all’attività riservata. Il Bar osserva inoltre preliminarmente che non è possibile procedere alla discussione della migliore organizzazione giuridica dei “legal services” senza darne una definizione, e pertanto evidenzia una grave lacuna nel Documento di consultazione.
Per parte sua la Law Society , accogliendo con favore l’iniziativa , e sottolineando che una revisione del quadro normativo delle professioni legali è auspicabile per ammodernarne i contenuti, precisa che fino ad oggi non si sono registrate critiche o doglianze in ordine alla disciplina tradizionale, che i servizi resi sono considerati efficaci, che la categoria dei solicitors gode, nell’immagine che si è guadagnata a livello internazionale, di una altissima reputazione essendo considerata una delle professioni più progressive e liberali. Al marzo del 2004 essa contava 116.110 iscritti, di cui 92.752 praticanti effettivi, 1.139 esercitanti all’estero. Il numero degli affari trattati sono stati calcolati in circa 15 milioni per anno, e il complesso del fatturato lordo medio annuo è di 14 milioni di sterline.
La premessa del questionario muove dai principi fondamentali ( o dai precetti) che caratterizzano gli obiettivi della disciplina delle professioni legali (indipendenza, integrità morale, il dovere di agire nell’interesse del cliente, il segreto professionale) e si chiede se essi debbano mantenersi saldi oppure debbano essere modificati, e in che termini si debbano considerare i rischi coinvolti dalla professione.
Il Bar osserva che questi obiettivi, già osservati dall’ istituzione e fatti osservare dagli iscritti, non solo debbono essere conservati, perché costituiscono gli aspetti essenziali della professione forense, e garantiscono una adeguata concorrenza tra i circa 11.000 barristers iscritti, che operano individualmente, ma dovrebbero essere integrati da un ulteriore obiettivo, che , ponendo in luce la connessione dell’attività (dei barristers) con l’amministrazione della giustizia, assicuri l’indipendenza dei professionisti attraverso standards etici,. Per parte sua, il Bar non si oppone alla creazione di un’autorità regolatrice,sempre che essa si ispiri a questi principi, e non si esprime a proposito dei rischi, ritenendo la questione poco chiara.
Per parte sua, la Law Society premette una serie di considerazioni di carattere generale alle risposte al questionario, che riconsiderano i caratteri e la disciplina attuale della professione forense in Inghilterra. L’indipendenza della professione forense è assunta come un valore indefettibile di uno Stato di diritto a base democratica. Il solicitor spesso si interpone tra lo Stato e il cittadino, per difendere il cattadino dagli abusi di potere dello Stato. L’indipendenza può anche essere ottenuta attraverso la vigilanza affidata ad un’autorità pubblica, ma ciò che rileva è che essa stessa sia indipendente dall’ Esecutivo. Ecco perciò che, qualora la decisione finale dovesse risolversi nella introduzione di una “Legal Services Authority” o di un “Legal Standards Board” , le garanzie di indipendenza dovrebbero essere salvaguardate attraverso la designazione dei componenti, che non dovrebbe dipendere direttamente dall’ Esecutivo, l’ autonomia della permanenza in carica dei componenti, che non dovrebbe essere incisa dal potere governativo, la composizione degli organi direttivi dovrebbe prevedere la presenza di rappresentanti dei solicitors e dei rappresentanti delle altre categorie professionali.
I solicitors – prosegue la Law Society – si fanno garanti dello Stato di diritto, ogni anno si occupano di milioni di affari e grazie alla correttezza del loro operato portano benefici alla società e danno affidamento ai cittadini. L’impegno profuso dagli avvocati nella difesa dei diritti dei cittadini – spesso ignorato o addirittura dileggiato – si spinge fino alla difesa di interessi che potrebbero essere considerati in modo negativo dai più, e in particolare dai benpensanti, ma l’avvocato assiste il cliente sfidando anche l’ opinione pubblica La Law Society esprime la sua totale adesione alla linea tracciata dal Paper riguardo alla difesa degli interessi dei consumatori e alla difesa dell’interesse pubblico, contro i quali non si può tutelare l’interesse di categoria. Interessi superiori che implicano il più esteso accesso alla giustizia, un corretto bilanciamento di prezzo e di qualità, la protezione contro gli abusi e i comportamenti scorretti, l’applicazione di regole rigide di comportamento.
Quanto al mercato professionale e all’accesso alla giustizia, la Law Society si rende conto che ricorrere ad un avvocato è più facile per chi è molto povero, perché può contare sul gratuito patrocinio, e per chi è molto ricco, perché può contare sui propri mezzi, mentre chi si trova nella fascia mediana può avere difficoltà a sopportare le spese per onorari e spesso è costretto a rivolgersi a chi non è professionalmente qualificato, peggiorando così la sua situazione. Occorre quindi tener conto di ciò nella evoluzione del mercato professionale. Ma ciò che più conta è salvaguardare il “valore della professionalità”. E questo fa la differenza rispetto a chi offre servizi legali senza essere qualificato in quanto appartenente ad una delle categorie regolate.
La Law Society traccia dunque una demarcazione netta tra servizi legali offerti da chiunque e servizi legali offerti dagli appartenenti ad una professione regolata ( in particolare, i solicitors e i barristers). Le aspettative – si sottolinea con acume ( p.20) che nutre il professionista sono diverse da quelle che nutre chiunque altro offra servizi legali. Appartenere ad un corpo professionale implica:
(i) condividere ideali, anziché obbedire semplicemente a regole imposte dall’esterno,
(ii) seguire regole che non sono solo informate alla protezione dei consumatori come le prevede la legge scritta;
(iii) la condivisione di questi ideali fa sì che singoli professionisti o clienti o cittadini si possano rivolgere alla Law Society per segnalare eventuali comportamenti scorretti e quindi si possa mantenere un alto livello di moralità [per inciso il documento riporta che ogni anno mediamente la Law Society riceve 65.000 esposti].
Sempre ragionando in termini di mercato dei servizi legali, si sottolinea che tali servizi debbono essere forniti non alla stregua di servizi “industriali” ma di servizi “professionali”, cioè di servizi che rivestano livelli adeguati di professionalità. In ogni caso i principi fondamentali che governano l’etica professionale non sono rivolti a difendere interessi corporativi ,ma piuttosto gli interessi dei consumatori. E per l’appunto sono “core values”:
(i) il perseguimento in modo prioritario dell’interesse del cliente;
(ii) il dovere di servire la giustizia;
(iii) il segreto professionale;
(iv) il dovere di evitare conflitti d’interesse.
La Law Society si preoccupa dello standing internazionale acquisito dai solicitors inglesi, e quindi raccomanda che ogni revisione della disciplina professionale non intacchi le posizioni acquisite.

(b) Le risposte ad alcune questioni di base.
Tra le questioni di base il Paper di discussione chiede ai professionisti di indicare quali valori dovrebbero essere perseguiti da una futura riforma
Il Bar risponde condividendo l’enumerazione dei valori (di cui si è fatto cenno: indipendenza, integrità, interesse prioritario del cliente, segretezza) ed aggiunge il dovere di cooperare all’amministrazione della giustizia.
La Law Society aggiunge il dovere di raggiungere risultati soddisfacenti e corretti ( “equitable and fair”) per il professionista e il suo cliente; la correttezza si estrinseca anche nell’evitare discriminazioni in danno ai clienti riguardanti la razza, il sesso, gli handicap, le credenze religiose e gli orientamenti sessuali, e nel dovere di informare il cittadino sui propri diritti.
Ogni regolazione dell’attività professionale dovrebbe tener conto dell’interesse pubblico ma dovrebbe anche conservare l’etica professionale, che si costruisce momento per momento nella pratica, sia attraverso la formazione anteriore all’esercizio della professione, sia nel continuo aggiornamento e nel miglioramento progressivo delle proprie competenze.
Quanto ai modelli di regolazione, il questionario innova la situazione esistente, proponendo modelli alternativi: un modello che affida tutte le funzioni di controllo ad un’autorità esterna, un modello che conserva le funzioni attuali agli organi rappresentativi ma introduce un’autorità esterna che li sottopone alla propria vigilanza, e modelli di combinazione tra questi due.
Il Bar ritiene improponibile il primo modello, mentre mostra maggiore attenzione per il secondo. Ma la questione fondamentale è se sia necessario, utile, o indifferente separare le funzioni di rappresentanza delle categorie professionali dalle funzioni di controllo deontologico. Sul punto il Bar è esitante e perplesso.
Per contro la Law Society concorda sulla opportunità di separare le due funzioni.Essa si fa anche carico delle critiche all’organizzazione attuale delle professioni legali in Inghilterra espresse da diverse istituzioni. Il Governo, che ha bollato come eccessivamente rigido e complesso il sistema normativo e lo ha ritenuto eccessivamente costoso per i consumatori; l’ OFT che ha riscontrato l’esistenza di alcune barriere alla concorrenza; i consumatori che, del pari, hanno lamentato difficoltà all’accesso e costi eccessivi, ma più specificamente, l’inaccessibilità dei solicitors e la loro scarsa solidarietà con gli interessi dei consumatori. Ma la Law Society si è fatta carico di replicare a tutte le critiche segnalando le iniziative assunte per migliorare l’organizzazione degli studi professionali e nel cercare di dare seguito con soddisfacenti risultati alla maggior parte degli esposti ricevuti.
Quanto alla rimozione delle barriere alla concorrenza, la Law Society sottolinea come i professionisti siano ben armati di uno spirito competitivo e come questo spirito abbia portato alla riduzione dei costi per i consumatori.
La Law Society si preoccupa che i settori di mercato – anche nell’esportazione ( in cui i servizi legali raggiungono il 2% del fatturato complessivo) – siano conservati intatti e siano incrementati. E verificando che il sistema attuale ha sortito buoni risultati, confida nella conservazione delle proprie funzioni.
Proprio in questi giorni ricerche di mercato hanno indicato che alcuni degli studi legali inglesi (si parla , ovviamente, di solicitors) sono ai vertici delle classifiche internazionali sia per i maggiori profitti realizzati, sia per le più estese quote di mercato acquisite. I dati economici debbono essere meditati con attenzione. Ma è difficile dire se il successo sia determinato dalle restrizioni alla concorrenza, oppure – come sembra più ragionevole pensare – al fatto che ormai le prassi internazionali, contrattuali, arbitrali, si effettuano in lingua inglese, seguendo i modelli inglesi, molto spesso osservando il common law, e sono amministrate da istituzioni che hanno sede a Londra.

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