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-VonBerthalanffy, psicologia sistemica e diritto-economia

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LA PSICOLOGIA SISTEMICA

http://www.ticino.com/usr/atpp/sistemica.html

Indirizzo psicologico sviluppatosi negli anni Cinquanta a Palo Alto in California a partire dalla teoria dei tipi logici di B. Russell, dalla teoria dei sistemi del biologo austriaco L. von Bertalanffy e dalla teoria del doppio legame di G. Bateson. Muovendo dal concetto di base secondo cui tutto è comunicazione, anche 1'apparente non-comunicazione, la psicologia sistemica ritiene di poter indagare il mondo psichico a partire dal sistema della comunicazione regolato dalle leggi della totalità per cui il mutamento di una parte genera il mutamento del tutto, della retroazione che prevede l'abbandono del concetto di causalità lineare per quello di circolarità dove ogni punto del sistema influenza ed è influenzato da ogni altro, e dell'equifinalità per cui ogni sistema è la miglior spiegazione di se stesso, perché i parametri del sistema prevalgono sulle condizioni da cui il sistema stesso ha tratto origine. Detta psicologia ha come suo presupposto teorico la teoria generale dei sistemi e come sua risultanza pratica la terapia sistemica o pragmatico-relazionale.

1. TEORIA GENERALE DEI SISTEMI.
Studio delI'organizzazione di una totalità detta sistema. La tesi che il tutto non è riconducibile alla somma delleparti era già nota nell'antichità, ma solo con l'avvento della cibernetica si determinano le regole morfologiche, strutturali e funzionali che consentono lo studio del sistema nella sua articolazione gerarchica e nella sua interazione con altri sistemí con cui awengono scambi di materiali, energie o informazioni, come nel caso del "sistema famiglia" costituito da un insieme di unità legate da relazioni significative in continuo interscambio con l'ambiente sociale più vasto (sistema aperto). Secondo von Bertalanffy, che tentò di emancipare la teoria generale dei sistemi dalla cibernetica, "esistono dei modelli, dei principi e delle leggi che si applicano a sistemi generalizzati o a loro sottoclassi, indipendentemente dal loro genere particolare, dalla natura degli elementi che lo compongono e dalle relazioni o "forze" che si hanno tra essi. Risulta pertanto lecito il richiedere una teoria non tanto dei sistemi di tipo più o meno speciale, ma dei principi universali che sono applicabili ai sistemi in generale. In questo senso noi postuliamo una nuova disciplina che chiamiamo teoria generale dei sistemi. Il suo oggetto di studio consiste nella formulazione e nella derivazione di quei principi che sono validi per i "sistemi" in generale".

In psicologia l'opzione sistemica consente di superare: a) la concezione atomistica dello studio dei fenomeni psichici che aveva caratterizzato la psicologia sperimentale di W. Wundt, l'associazionismo e il comportamentismo classico; b) la concezione causale perché i fenomeni non sono più considerati come entità astratte e isolate spiegabili secondo il principio della causalità lineare, ma come globalità da studiarsi nell'interazione dinamica delle parti; c) le forme di dualismo sia di origine cartesiana come la dicotomia anima e corpo, sia di origine freudiana come la distinzione tra conscio e inconscio. Scrive in proposito M. Selvini Palazzoli: "Il cambiamento consiste nell'abbandonare la visione meccanicistico-causale dei fenomeni che ha dominato le scienze fino a tempi recenti per acquisire una visione sistemica. Ciò significa che i membri della famiglia sono considerati come gli elementi di un circuito di interazione. I membri del circuito non hanno alcun potere unidirezionale sull'insieme. In altre parole, il comportamento di un membro della famiglia influenza inevitabilmente il comportamento degli altri. Tuttavia è epistemologicamente errato considerare il comportamento di questo membro come la causa del comportamento degli altri membri. E questo per il fatto che ogni membro influenza gli altri ma è anche influenzato dagli altri. [...] Finalmente tale nuova epistemologia permette di superare quei dualismi cartesiani la cui persistenza è ormai di ostacolo invece che di giovamento al progresso. Infatti se siriflette che in un circuito sistemico ogni elemento è inserito, e interagisce, con la sua totalità, le dicotomie organico-psichico, conscio-inconscio perdono di significato".

Sono considerati precursori della teoria generale dei sistemi L. S. Vygotskij, per il quale "il risultato più essenziale della psicologia degli ultimi anni è stato il fatto che l'approccio analitico ai processi psicologici è stato sostituito da un approccio olistico-strutturale. [...] L'essenza di questo nuovo punto di vista è nel fatto che è passato in primo piano il concetto di "insieme". L'insieme ha le proprie caratteristiche, e definisce caratteristiche e funzioni degli oggetti che lo caratterizzano"; J. Piaget, che confuta l'elementarismo dichiarando che "un'operazione isolata non è un'operazione, perché l'essenza delle operazioni è quella di costituire sistemi"; e la psicologia della forma che, con M. Wertheimer, afferma che "vi sono relazioni che conducono a uno stato nel quale le cause e la natura dei processi dell'insieme non possono essere noti a partire dalla conoscenza dei suoi elementi, che esistono dapprima sotto forma di parti separate, successivamente messe insieme e interconnesse. E viceversa qualsiasi comportamento dell'insieme è governato dalle leggi strutturali interne dell'insieme stesso".

Gli esponenti dell'opzione sistemica, a partire da Bateson, spostano l'attenzione dal significato dei fenomeni psichici al contesto dei medesimi che li rende più comprensibili di quanto non li renda la loro interpretazione endopsichica. La nozione di contesto è alla base della teoria del campo di K. Lewin per il quale "i vettori che determinano la dinamica di un evento non possono essere definiti che in funzione della totalità concreta che comprende, nel contempo, l'oggetto e la situazione", e dell'approccio relazionale di P. Watzlawick per il quale "un fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica".

Questa assunzione metodologica, che ritroviamo nella teoria della personalità formulata da G. W. Allport, nella psicolinguistica di N. Chomsky e nella teoria dell'informazione di U. Neisser, conduce alle conseguenze così descritte da Watzlawick: "L'impossibilità di vedere la mente "al lavoro" ha fatto adottare negli ultimi anni un concetto elaborato nel settore delle comunicazioni, cioè quello di "scatola nera". [...] L'hardware elettronico è così complesso che talvolta conviene trascurare la struttura interna di un dispositivo e studiare esclusivamente i suoi rapporti specifici di ingresso-uscita. Anche se è vero che questi rapporti non escludono ínterferenze con quanto si verifica "realmente" all'interno della scatola, le cognizioni che se ne possono trarre non sono indispensabili per studiare la funzione del dispositivo nel sistema più grande di cui fa parte. Se applichiamo il concetto a problemi psicologici e psichiatrici, si vede subito il vantaggio euristico che presenta: non abbiamo bisogno di ricorrere ad alcuna ipotesi intrapsichica (che è fondamentalmente inverificabile) e possiamo limitarci a verificare i rapporti di ingresso e uscita, cioè la comunicazione".

Gli strumenti utilizzati dall'approccio relazionale su base sistemica sono stati così riassunti dalla Selvini Palazzoli: "Il concetto di contesto come matrice di significati, la coesistenza nell'uomo dei due linguaggi, analogico e digitale, la nozione di punteggiatura nell'interazione, il concetto di necessità di definizione della relazione e i vari livelli verbali e non verbali su cui tale definizione può aver luogo, la nozione di posizione simmetrica o complementare nel rapporto, le fondamentali nozioni di paradosso sintomatico e di paradosso terapeutico".

2. LA TERAPIA SISTEMICA O PRAGMATICO-RELAZIONALE.
Dalla teoria generale dei sistemi è stata ricavata una forma di terapia che parte dall'idea che tutte le volte che un sistema viene portato lontano dal suo stato di equilibrio, da un input che può provenire dall'interno o dall'esterno del sistema stesso, si apre una fase caratterizzata da un periodo di riorganizzazione del sistema incerta e aperta a molti possibili sviluppi. In questa fase si inserisce l'operazione terapeutica dove il terapeuta con le sue comunicazioni e teorie di riferimento è considerato come un sistema che entra in contatto con un altro sistema che è il paziente, il gruppo, la famiglia o la comunità. L'incontro dei due sistemi crea un'interfacie o area di contatto dove il terapeuta introduce un'informazione che modifica il sistema dell'individuo, della famiglia o del gruppo. L'informazione può essere dotata nello stesso tempo di valore positivo e negativo. La risoluzione di questo paradosso è una parte della risoluzione della crisi, perché se la dissonanza creata dall'immissione dell'informazione terapeutica si compone, diventano disponibili nell'individuo, nella famiglia, nel gruppo, le nuove strutture per riorganizzare ad un altro livello il sistema entrato in crisi.

In un sistema a livello di famiglia, ad esempio, il terapeuta può cercare di individuare la persona che ha la capacità e il potere di iniziare il mutamento o di consentire ad esso di aver luogo. Indagherà quali convinzioni possono essere messe a confronto o quali modelli devono essere abbandonati per rendere possibile il mutamento. In un'organizzazione egli cercherà le persone chiave il cui mutamento di atteggiamento rende possibile il mutamento nel sistema organizzativo. In un individuo cercherà quali atteggiamenti o concetti sono aperti al mutamento senza minacciare l'identità più profonda. In una seconda fase, il terapeuta comunica la sua convinzione sulla presenza di dati paradossali e discordanti come problema da risolvere, controllando il livello d'ansia o di tensione nel sistema. Un'ansia eccessiva conduce infatti o a una regressione disorganizzante o a un tentativo di espellere il terapeuta considerato responsabile delle angosce del sistema. Un livello d'ansia troppo basso fornisce poca motivazione al mutamento. La risoluzione positiva dei problemi comporta un nuovo tipo di stabilità dinamica, una nuova organizzazione cognitiva di dati, una diminuzione dell'ansia e sentimenti di accresciuta competenza e stima di sé.

GLI SCOPI DELLA MEDICINA: DUE BREVI RIFLESSIONI E UN PENSIERO

Margherita Greco
Divisione di Psicologia
Istituto Nazionale Tumori
Via Venezian, 1
20133 Milano
Email: psicologia@istitutotumori.mi.it
 

Riferirsi agli scopi di una qualsiasi impresa, dal più minuscolo al più importante atto umano, è riferirsi alle sue fondamenta, alle sue colonne portanti. Quindi tanto più è ampia la portata dell’impresa tanto più la rivisitazione dei suoi scopi assume significatività. Il rapporto Callahan rappresenta un prezioso progetto di ricostruzione delle fondamenta della medicina ed i suoi contenuti, immensi e numerosi, sono tutti degni di grande attenzione.

Per uscire dall’empasse di dover scegliere un punto di rilievo, ho lasciato che il mio pensiero si depositasse in modo spontaneo. Ne sono nate considerazioni brevi, che offro ai partecipanti di questa tavola rotonda come spunti riflessivi, ed un momento di elaborazione più profonda

Gli scopi della medicina sono modelli intrinseci alla medicina stessa o costruzioni sociali?
Il rapporto Callahan, nel descrivere i primi, rileva "la medicina inizia con il rapporto medico-paziente e questo a sua volta esprime dei valori ad essa intrinsecamente legati", sostenendo, con ciò, la necessità che sia i valori che il medico restino impermeabili ai cambiamenti sociali. Nel descrivere i secondi, sostiene invece il carattere predominante dell’elemento sociale che renderà gli scopi della medicina condizionati da fattori esterni.

Questa linea di demarcazione tra i due esprime una contrapposizione che, di fronte ad ogni evento complesso, non esaurisce il problema ma lo alimenta e lo perpetua. In ambito epistemologico si veda il corrispettivo dibattito tra innato ed acquisito, tra ciò che è immodificabile e ciò che è totalmente condizionato dall’apprendimento e come questa dicotomia abbia creato la necessità di una visione più complessa della conoscenza. Nel rapporto Callahan, infatti, non si è giunti ad una "soluzione compiuta" della questione non potendo sconfessare la veridicità delle due posizioni.

Una ridefinizione della natura degli scopi intrinseci ritengo possa essere un modo per superare questa dicotomia. Ridefinire la natura degli scopi intrinseci significa passare da una natura statica e, quindi, immodificabile di tali scopi ad una natura dinamica e quindi suscettibile di un percorso evolutivo dove l’elemento sociale sarà uno dei fattori ma non l’unico.

Scopi della medicina e formazione medica
All’interno di questo paragrafo si fa riferimento al modello "diagnosi e trattamento" come al modello a cui si dà priorità sul piano della formazione. Questo modello si basa sulla esaustività del rapporto causa-effetto per comprendere la malattia e la persona malata, va da sé dunque che tutti gli elementi che sfuggono ad ogni analisi lineare non possano essere presi in considerazione a cominciare dal rapporto medico-paziente la cui rilevanza viene anche qui, ancora una volta, sottolineata.

Da questo processo di esclusione nascono dei contenuti paradossali che possono diventare oggetto di riflessione nella direzione di un trasformazione di tale modello:

  • Il progresso e l’ampliamento delle conoscenze producono, da una parte benessere, dall’altra aspettative e delusioni. La crescita tecnologica ed il progresso scientifico, non viaggiando di pari passo con la crescita emotiva, sorprendono l’individuo nell’incapacità di gestire il prodotto delle sue azioni.
  • La medicalizzazione della vita è, al tempo stesso, la negazione del messaggio contenuto nella definizione di medicina in quanto scienza che si occupa dell’uomo.
  • La squalifica dell’aspetto preventivo della medicina fa sì che lo scopo principale che è quello di alleviare le sofferenze implichi la necessità che ci sia "un malato" in una sorta di doppio legame.
  • Il concetto di autonomia del paziente e di autodeterminazione del soggetto sono sostenuti dalla stessa società che rimuove la morte, che vive la malattia come sconfitta, che sostiene una formazione medica che non tenga conto degli elementi di complessità connessi all’esperienza di malattia e all’universo persona, e che tende a vivere il rapporto medico-paziente fuori dalla consapevolezza che la relazione è un processo di influenzamento reciproco.

La complessità del rapporto medico-paziente
Nell’ambito di queste brevi riflessioni si è sempre sottolineata l’importanza del rapporto medico-paziente e fatto riferimento al carattere di complessità che lo contraddistingue. Condividendone l’importanza voglio fermare la mia attenzione sul suddetto carattere di complessità per una riflessione più articolata.

Il rapporto medico-paziente non solo è fondante un processo di cura dove entrambi sono coinvolti ma ancora di più è paradigmatico di una visione del mondo in cui la relazione è la più elementare unità di studio, non scomponibile nei termini di cui è composta. Porre medico e paziente all’interno di una relazione dove essi non sono entità separate ma un tutt’uno soggetto alle stesse regole è il risultato di un percorso scientifico epistemologico che ha portato alla creazione di una nuova logica che ha guidato lo studio dei fenomeni, imperniata sulla struttura degli insiemi che ha determinato la teoria generale dei sistemi.

La frammentazione del paziente, la frammentazione del fronte impegnato nella cura del paziente, la frammentazione della medicina stessa, sono rischi e pericoli citati nel rapporto Callahan e che si possono ridurre con l’aiuto della visione sistemica.

La Teoria Generale dei Sistemi affonda le sue radici, nella sua prima formulazione, con L.Von Bertalanffy, in un momento della storia della biologia dove veniva sottolineato sempre di più che gli esseri viventi sfuggivano alla lettura del determinismo causale. Il presupposto per cui uno stato finale dovesse essere necessariamente ed inequivocabilmente determinato da uno stato iniziale aveva alimentato la disputa tra meccanicismo e vitalismo. Driesch, nel XIX secolo, sconfessava clamorosamente questa linearità con i suoi famosi esperimenti sulle uova di riccio di mare, dimostrando come, pur partendo da differenti condizioni iniziali si potesse giungere ad un medesimo fine. Più precisamente risultava che dalla divisione di due ovuli o dalla fusione di due ovuli interi o da ovuli manipolati in modo importante in via sperimentale nascessero organismi assolutamente normali. Questa esperienza minava così profondamente i fondamenti della scienza classica che lo stesso Driesch per darsi spiegazione aveva dovuto ricorrere a categorie trascendentali quali "l’anima" o "qualcosa che ricordasse l’anima" ed in seguito "a qualche cosa che non è la psiche ma che può essere spiegato solo in base a categorie psicologiche" giungendo all’utilizzo del concetto aristotelico di entelechia.

"L’entelechia è quella forza dell’organismo che ne determina la forma, è d’una natura totalmente diversa dalle forze fisico-chimiche e non può essere posta con queste sullo stesso piano. Tutti i fattori puramente fisici o chimici sono soltanto i mezzi di cui si serve l’organismo; essi non costituiscono la vita, ma servono alla vita che ne fa uso"

Lo stesso Kant aveva dato il suo contributo al problema della complessità degli esseri viventi quando, all’interno della "Critica del giudizio" considera chiaramente la natura come un tutto, congegnato in modo che da esso stesso siano determinate le proprietà delle singole parti. "Così soltanto essa cessa di essere un semplice aggregato e diventa un sistema". Causalità e finalità non sono in antinomia ma si riferiscono a due diverse categorie di problemi. "La causalità considera la successione obiettiva degli eventi nel tempo, l’ordine nel divenire, la finalità considera la struttura di quelle classi di oggetti empirici, alle quali diamo il norme di organismi".

E molti altri personaggi di grande rilievo, da Cuvier a Saint-Hilaire a Goethe hanno riempito le pagine della letteratura scientifica di questo proficuo momento del pensiero scientifico a cui gli abiti della scienza classica andavano sempre più stretti in diversi campi del sapere.

La Teoria generale dei sistemi nell’affacciarsi su uno scenario concettuale assolutamente nuovo, esprime anche la consapevolezza di un parallelismo dei principi conoscitivi generali nei differenti campi del sapere, dalla biologia, da cui si è partiti alla sociologia alla psicologia all’economia. Parallelismo che vuole vedere l’utilizzo di medesime classi concettuali per i diversi campi del sapere.

Secondo Bertalanffy "Esistono insomma dei modelli, dei principi e delle leggi che si applicano a sistemi generalizzati o a loro sottoclassi, indipendentemente dal loro genere particolare, dalla natura degli elementi che li compongono e dalle relazioni o "forze" che si hanno tra di essi. Risulta pertanto lecito richiedere una teoria non tanto dei sistemi di tipo più o meno speciale, ma dei principi universali che sono applicabili ai sistemi in generale. In questo senso noi postuliamo una nuova disciplina che chiamiamo Teoria generale dei sistemi. Il suo oggetto di studio consiste nella formulazione e nella derivazione di quei principi che sono validi per i "sistemi" in generale" (M.Rossi/S.Vitale "Dall’analisi esistenziale alla teoria dei sistemi" Feltrinelli 1980)

La rottura con i parametri precedenti della scienza, la "frattura epistemologica" per dirla con Bachelard, rappresenta un salto categoriale; il processo intellettivo della spiegazione, con lo schema SÝ R che vede necessario stabilire un rapporto diretto tra due oggetti, cede il posto al processo intellettivo della comprensione che adotta come base conoscitiva il concetto di sistema. L’obiettivo non è più quello di stabilire delle connessioni dirette tra i membri di un insieme ma quello di individuare il sistema superordinato nel quale i membri sono inseriti o il valore della posizione di ciascun membro dell’insieme rispetto al sistema superordinato.

Il secondo assioma della pragmatica della comunicazione rileva che "Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione". Nella relazione medico-paziente, uno dei sistemi superordinati è rappresentato dal livello emotivo (di relazione) che influenza e orienta il livello informativo (di contenuto) tanto da annullarne, a volte, l’incidenza. Altri sistemi superordinati in cui l’unità relazionale medico-paziente si trova inserita sono: la famiglia, l’istituzione – la società.

Gli strumenti usati dalla visione sistemica sono i concetti che utilizza per la comprensione dei fenomeni: sistema – totalità –organizzazione – equifinalità. L’unificazione dei sistemi significa quindi l’utilizzo delle medesime categorie concettuali nei differenti contesti. Guardare alla relazione medico-paziente con occhi sistemici non può prescindere dall’applicare gli stessi concetti.

Il sistema è definito da un insieme di elementi in interazione tra loro dove una modificazione in uno solo degli elementi ha effetto su tutti gli altri.

La malattia è un evento che non riguarda solo la persona malata ma riguarda anche la famiglia, le istituzioni, gli operatori sanitari ed ogni altro contesto con cui la persona si relaziona. Questi elementi non sono solo in un rapporto di semplice interazione ma sono in un rapporto di influenzamento dove è possibile che "una modificazione nell’uno produca una modificazione nell’altro "

In molte delle questioni che interessano il rapporto medico-paziente si prescinde da questo presupposto concettuale. Parlare di principio di autonomia del paziente o di autodeterminazione implica, necessariamente, di dover parlare dell’autonomia e dell’autodeterminazione del medico così come dell’autonomia e dell’autodeterminazione della famiglia.

La totalità è quella caratteristica del sistema che lo rende irriducibile alla somma delle parti che lo compongono.

Il tema della consapevolezza e della comunicazione intorno alla malattia ed alla morte deve tener conto del fatto che il paziente spesso può "volere", "voler sentire" "voler sapere" ciò che il sistema di riferimento può "volere", "voler sentire", "voler sapere".

Quando parliamo di un paziente che "non chiede" non possiamo essere così certi che la sua volontà di non chiedere rappresenti una sua scelta (quindi una sua caratteristica) poiché il suo pensiero e la sua azione possono essere condizionati dal tutto di cui fa parte..

L’organizzazione rimanda all’esistenza di regole a cui gli elementi del sistema aderiscono.

La famiglia è il sistema che, con più facilità, evidenzia l’esistenza di regole a cui partecipanti ubbidiscono. Regole esplicite o implicite che circoscrivono il campo d’azione.

L’omeostasi è la tendenza dell’organismo a mantenere il proprio equilibrio di fronte ad un cambiamento. La malattia rappresenta un grosso cambiamento, a volte: la negazione, la contraddizione, la distorsione sono tutti comportamenti atti a mantenere uno status quo.

La visione sistemica applicata alle scienze psicologiche, vedrà la trasformazione del modello positivistico-riduzionistico della quasi totalità della ricerca psicologica indipendentemente dal tipo di orientamento. Dal comportamentismo alla psicoanalisi, tranne che in alcune sue rivisitazioni, la natura dell’uomo è concepita come una natura statica obbediente alle regole dello schema S R in base al quale il soggetto è comunque un ricevitore passivo di stimoli, esterni o interni che siano. E ciò equivale a dire che la conoscenza dell’universo "persona" sia realizzabile scomponendone le parti che la costituiscono in una visione sommativa della realtà.

Lo schema S R sostiene la visione di un individuo reattivo che persegue il fine di uno stato naturale di quiete rappresentato dalla soddisfazione di bisogni e dal mantenimento di un equilibrio secondo un principio utilitaristico.

La visione sistemica conduce ad una natura dell’uomo che, in quanto sistema e, nella fattispecie, sistema aperto mira a produrre anche tensioni nuove con stati di squilibrio conseguenti ad una attività autonoma e spontanea anche in assenza di o in presenza di stimoli esterni.

"Se, dopo le perturbazioni provenienti dall’esterno, la vita non avesse fatto altro che tornare al cosiddetto equilibrio omeostatico, essa non avrebbe mai potuto progredire oltre l'ameba, la quale, dopo tutto, è la creatura meglio adattata di questo mondo, essa è infatti sopravissuta per milioni di anni, dall’oceano primitivo ai nostri giorni" (Teoria generale di sistemi – L.V.B. pag. 293)

L’uomo statico e reattivo espressione di una somma di dati isolati rappresenta anche una visione alquanto irreale della natura umana che si può concepire, invece, come un universo i cui elementi sono in continua e reciproca relazione all’interno di un tutto gerarchicamente ordinato.

Per finire, questa cornice di pensiero relativamente all’universo relazionale medico-paziente, conduce alle seguenti considerazioni:

1.        una rivalutazione di tutti gli elementi che partecipano ad un rapporto, in quanto interdipendenti e perciò responsabili, nella stessa misura, della creazione di una data situazione.

2.        l’attenzione posta alla centralità del paziente in un progetto di umanizzazione delle cure diventa anche rivalutazione del ruolo medico la cui svalutazione è legata ad un programma formativo che lo vuole mantenere fuori dal gioco. Non si può disconoscere al medico un ruolo dominante nella relazione di "sana dipendenza" con il malato. Ma alla sana dipendenza si può giungere dopo aver riconosciuto le dipendenze "malate" e cioè quei comportamenti dove l’autonomia del soggetto è sostituita da un alto grado di influenzamento reciproco. Il medico (e naturalmente tutti gli operatori) ha l’obbligo di partecipare ad un percorso formativo che veda la riduzione di tale influenzamento e la crescita parallela del suo comportamento autonomo.

3.        l’acquisito grado di autonomia emotiva del medico lo renderà capace di considerare prima e gestire poi tutti i sistemi di riferimento connessi al rapporto medico-paziente.

Bibliografia:

  • "Storia della filosofia moderna" – Tomo primo – Ernst Cassirer – G. Einaudi ed. 1978.
  • "Il nuovo spirito scientifico" – Gaston Bachelard – Universale Laterza ed. 1978
  • "Dall’analisi esistenziale alla teoria dei sistemi" – M. Rossi Monti/S:Vitale – Feltrinelli ed. 1980.
  • "Teoria generale dei sistemi" – L. Von Bertalanffy - ILI, Milano 1971.
  • "Pragmatica della comunicazione umana" - P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D.Jackson – Astrolabio Ed. 1971.

http://webin.mediaonline.it/simo.nsf/0/fd2a0a58a1d442c6c1256a7600276abc?OpenDocument

data 25/6/2001

I L P A R A D I G M A O M E O P A T I C O
Dall' aut-aut all' et-et

Di ARMIDA REBUFFI

La Medicina Classica assume come paradigma quello che si basa sul metodo cartesiano e che viene a costituire il cosiddetto metodo del pensiero moderno occidentale. Separazione, dunque, tra res cogitans e res extensa, necessità di un' ideale trasparenza cnoseologica. L'assunzione di una concezione "astorica" della ragione e l'opposizione 1tra natura e storia o scienze della natura e scienze dello spirito, pone il problema della demarcazione tra le due aree e la ricerca di un punto, di un fondamento da cui partire, per la formulazione di un metodo scientifico. Ciò che è individuale, storico, singolare, peculiare, diventa ininfluente e addirittura da tralasciare. Il Metodo deve permettere di separare il razionale dall'irrazionale, il vero dal falso, il normale dal patologico, la scienza dalla metafisica.
La direzione è quella dell'avvicinamento asintotico ad una conoscenza infinita e completa (divina).
Si tratta di trovare delle Leggi, la cui invarianza e atemporalità diventa garanzia di un sapere scientifico universale.
L'idea positivista , con la sua visione "statica" e riduzionista non viene messa in discussione.
Il metodo induttivo-deduttivo, che parte dall'osservazione di più casi ed arriva a formulare una legge generale, che deve poi venire verificata attraverso la riproducibilità dei casi osservati ( il cosiddetto "arco della conoscenza") rappresenta l'unico metodo incontrastato di validazione medico-scientifica.
La Teoria Generale dei Sistemi, sorta alla fine degli anni trenta, si propone di superare lo schema logico-tradizionale di analisi-sintesi e si pone come obiettivo l'integrazione dei metodi delle scienze naturali e sociali.
Stiamo parlando di un "nuovo paradigma" o di "un diverso paradigma scientifico" che si rivolge alla "totalità", in contrasto con il meccanicismo classico. Il metodo analitico non riconosce le caratteristiche di tipo qualitativo, né ricerca la relazione tra le parti. Il concetto di "sistema" presuppone che il tutto sia qualcosa di più della somma delle singole parti. Il concetto di sistema integra l'invarianza con l'evoluzione e adatta codici particolari ad una determinazione di tipo probabilistico. Il sistema presenta diverse possibilità e un'illimitata capacità costruttiva: ovviamente è anche importante individuare dei limiti. Le proprietà di base del sistema si riferiscono sempre a caratteristiche spaziali e temporali e alla loro connessione nelle dimensioni dell'esperienza. Infatti esiste un sistema ovunque esista un rapporto di spazio e di tempo. Il tentativo di collegamento fa sì che l'indagine dell'oggetto divenga più complessa. Questi collegamenti possono completare il "senso". Nel mondo contemporaneo occorre salvaguardare sia l'unità dei fenomeni, che la biodiversità. Il modello sistemico può essere una chiave interpretativa abbastanza complessa e al contempo sufficientemente semplificabile. La teoria generale dei sistemi di L.von Bertalanffy, prendendo come riferimento generale il sistema biologico, tenta di superare i limiti del sistema cibernetico che , secondo la definizione di Norbert Wiener, nasce come teoria del controllo e della comunicazione nelle macchine
e negli animali, elaborata secondo un linguaggio formale-matematico. All'inizio la cibernetica si pone importanti limitazioni, dal momento che si occupa di sistemi chiusi, rispetto all'informazione proveniente dall'esterno, dunque di comportamenti prevalentemente meccanici e quindi non si adatta alla descrizione di sistemi reali. Il sistema, come complessità organizzata, può essere riconosciuto per la presenza di interazioni forti ,non lineari e la sua totalità definisce un tipo logico "superiore" rispetto all'analisi- somma della scienza classica. I modelli espressi in termini di LINGUAGGIO COMUNE trovano un posto nella teoria dei sistemi. Le caratteristiche generali dei sistemi sono individuate qualitativamente: inoltre vi si riconosce un ordine gerarchico e un'interazione DINAMICA. Occorre trovare, cioè, degli strumenti capaci di controllare i comportamenti dinamici degli oggetti. In questa visione si accordano, quindi, indicazioni formali e interpretazioni intuitive semplificanti, che definiscono il sistema come un insieme di elementi posti in reciproca relazione e attivi rispetto all'ambiente circostante.
Il modo di pensare dell'uomo deve quindi includere l'aspetto olistico del reale, superando le teorie matematiche e Includendo ogni forma di differenziazione, di autoorganizzazione e di crescente complessità. Come ben si sa, è stato predominante, finora, l'orientamento di Von Neumann, secondo cui occorre procedere risolvendo ogni possibile problema,il che ha portato alla scienza ingegneristica del computer, che ha posto il trattamento dell'informazione, quale nozione centrale della scienza cognitiva, in quanto problema che i sistemi viventi e le macchine devono risolvere.
L'aspetto autonomo e produttore di senso degli esseri viventi è stato quasi completamente trascurato, anche se ultimamente assistiamo ad un rivificarsi di queste problematiche, non essendo stati capaci di produrre macchine intelligenti. Secondo Varela il sistema è organizzato in modo che vi sia una coerenza interna simultanea di tutte le parti secondo un processo cooperativo. Inoltre ritiene che un sistema aperto( come l'uomo), effettui una chiusura ( che non è isolamento!) e che questa possa "produrre un mondo o dare un senso al mondo". Così gli esseri viventi, attraverso la loro forma particolare di chiusura, creano il mondo così familiare che li circonda. In questo caso riconosciamo una logica della COERENZA, che è tipica dei sistemi autonomi, mentre i sistemi eteronomi di Von Neumann, i sistemi, cioè, determinati dall'esterno, in cui vi è la rappresentazione dell'ambiente, presentano una Logica della Corrispondenza. Un sistema autonomo ha la specifica proprietà, detta "organizzazione autopoietica", che rende inseparabili l'essere e l'agire. La caratteristica più peculiare di un sistema autopoietico è che si mantiene con i suoi stessi mezzi e si costituisce come "distinto" dall'ambiente circostante. Il sistema autopietico riconosce all'osservatore un ruolo costitutivo, poiché solo la descrizione giustifica i confini tra ciò che si definisce ambiente e ciò che è sistema. L'atto di distinzione separa un oggetto da uno "sfondo" indeterminato.. Lo stesso osservatore è un sistema vivente ed è soggetto ai vincoli delle "coerenze operative" a cui appartiene. La "circolarità" della sua organizzazione fa del sistema vivente un'unità di interazioni ed è quella che gli permette di rimanere un sistema vivente.
Ma autonomia ed eteronomia non sono in opposizione logica. Occorre difendere la causa della "via di mezzo" tra un oggettivismo che richiede un mondo prestabilito di qualità da rappresentarsi e un solipsismo, che nega completamente le relazioni con un mondo.
Questo permetterebbe di eliminare le forme di dogmatismo, che , invece di portare verso l'arricchimento, possono portare verso la cristallizzazione e la distruzione, dovuti alla rigidità del sistema.
La sfida della complessità ci porta a cambiare i tipi di domande, attraverso cui si definisce l'indagine scientifica.
Quindi si impone una rivisitazione dei concetti, dei problemi che si rivolgono alla SCIENZA E ALLA CONOSCENZA.
Occorre reinterpretare, includendo ciò, che era considerato come "residuo e irriducibile" e che impone un allargamento delle categorie e dei compiti della scienza. L'esclusiva attenzione per ciò che è generale e ripetibile si modifica nel rivolgersi contemporaneamente a ciò che è singolare, irripetibile e contingente. Il tempo viene considerato come luogo di creazione e di costruzione. La scienza contemporanea è una scienza sia del generale, che del particolare allo stesso tempo, dell'ordine e del disordine, del ripetibile e dell'irripetibile( non più aut-aut ma et-et ).
La Medicina Omeopatica è più vicina alla scienza contemporanea, perché si riferisce sia al generale, tramite per
esempio la legge dei simili, che al particolare, mediante l'esame e la cura del singolo malato e non della malattia.
La malattia è infatti un'entità astratta, che non potrebbe esistere senza un substrato, in questo caso un soggetto in cui manifestarsi, esprimersi. Ma questo soggetto( e non oggetto) ha una propria coerenza interna, che è in rapporto con la coerenza di altri soggetti, che, come lui vivono entro un sistema dinamico, che ha regole comuni, un proprio linguaggio comune, ma anche peculiarità distinte, che rendono un individuo ben differenziato da un altro e con un proprio senso e significato di vita. La malattia e quindi la totalità sintomatica possono essere viste come l'espressione di una perdita di coerenza del singolo ( e/o del gruppo), che potrebbe avere il significato di innescare la ricerca di un'altra strutturazione di se stesso e quindi di nuovo spingerebbe l'individuo a ricercare il senso e il significato della sua forma di esistenza. Porrei l'accento sulla visione"dinamica" di salute e malattia: la salute ha in sé la malattia latente e la malattia può portare ad un maggior grado di conoscenza di se stessi, o anche ad un'altra strutturazione e questo grazie anche al "simillimum" somministrato, che non fa altro che potenziare l'azione del nostro organismo, che ha già messo in atto dei meccanismi volti a contrastare forse ciò che è immmobile dentro di noi e che si chiama malattia.
I sintomi, in realtà, non sono la patologia, ma sono già il tentativo dell'organismo di superare una certa "rigidità" dell'individuo, di contrastare ciò che dentro di noi non è più "vivente" e che sta perdendo coerenza e che necessita, in certe fasi di emergenza, anche del caotico, dell'irrazionale, per non far morire ciò che è "vita" dentro di noi. I sintomi, con la loro potenza e la loro capacità drammatica, in certi casi, di allontanarci dal contesto produttivo, ci costringono ad una riflessione sulla nostra esistenza. E questo non è possibile in una medicina che si riconosca solo come "oggettiva" e "sempre verificabile"! Essendo l'uomo molto complesso, è quindi evidente che è limitativo esaminare la patologia dal solo punto di vista "scientifico-nosologico". E' invece molto più completo esaminare il quadro patologico del soggetto nella sua storia biopatografica, per comprenderne il senso e il significato, inserendo le manifestazioni patologiche nella totalità del soggetto.
Un paradigma di questo tipo è più ricco ed esaustivo della semplice visione riduzionista della Medicina "ufficiale", anche se anch'esso è incompleto. Esso ha certamente a che vedere con le cosiddettte "scienze dello spirito", come l'antropologia, la filosofia , la psicologia e la storia. L'uomo è inserito nella storia ed è evento, che, pur conservando caratteristiche costanti, muta col mutare dei tempi. Non esiste un uomo ,che non sia inscritto nel suo tempo ed essendo l'uomo gettato nel flusso del divenire eracliteo, avrà sempre una visione parziale. A maggior ragione avviene quando l'uomo tematizza se stesso ed è quindi sempre contemporaneamente soggetto ed oggetto dell'osservazione.
Mi sembra abbastanza evidente, quindi, che non si possa parlare né di oggettività assoluta, né "verità" di metodo.
Da una sintesi, o da una complementarità tra "generale e particolare", si può ottenere un approccio al malato più soddisfacente, che ha a che vedere non solo con parametri biochimici-quantitativi, ma che consideri anche i parametri qualitativi, propri delle scienze umane, e che permettono di giungere non ad una "verità assoluta", ma ad una visione
più ricca e variegata del nostro "uomo malato". Una procedura di questo tipo ci permette di conoscere meglio il nostro paziente che soffre e ci permette, non solo di agire su di lui con un farmaco, ma fa in modo che il medico sia esso stesso terapeutico per il paziente e anche per se stesso, in quanto aiuta ad attivare un processo di autoguarigione, come d'altra parte fa il farmaco omeopatico. Infatti, parte della cura avviene nel DIALOGO tra medico e paziente, all'insaputa delle due anime che si incontrano. Se c'è VERITA' NELL'INCONTRO, c'è VERITA' DI CURA e ciò porta a trasformazione del malato e del terapeuta ( Gadamer ). Il dialogo in questione non è il monologo "paternalistico", che stabilisce un'asimmetria tra medico e paziente, o tra chi detiene il sapere e chi non sa, o tra l'adulto e il bambino, bensì un dialogo che, per il suo tipo di linguaggio, interviene nella cura, nella trasformazione di una struttura rigida ad una più armoniosa e flessibile. Questo linguaggio non è certo di tipo matematico-formale, ma è nutrimento che va all'anima, allo spirito e che perciò aiuta nella cura, affinchè lo"spirito, dotato di ragione, che risiede in noi, possa raggiungere i più alti fini della nostra esistenza", come sosteneva Hahnemann. Per Hahnemann la medicina era "tecnica ed arte": solo dalla sintesi di entrambe si può giungere ad una medicina che sia capace di avviare il processo di guarigione, che si trova dentro di noi.
Il paziente è come un libro da interpretare: i sintomi ci permettono la lettura del paziente e ci fanno giungere alla diagnosi di rimedio. Ma gli stessi sintomi, dopo essere stati accolti dal medico devono essere reinviati al paziente, affinchè egli stesso ne decodifichi il significato.

La salute non è precisamente un sentirsi, ma un esserci,
un essere nel mondo, un essere insieme agli altri uomini,
ed essere occupati attivamente e gioiosamente
dai compiti particolari della vita.
(Hans-Georg Gadamer-Dove si nasconde la salute. Pag.122)


BIBLIOGRAFIA

Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti- La sfida della complessità – Feltrinelli
Valentina De Angelis – La logica della complessità – Bruno Mondadori
Hans –Georg Gadamer – Dove si nasconde la salute – Raffaello Cortina Editore
Hans-Georg Gadamer – Verità e Metodo - Bompiani

NIKLAS LUHMANN

http://www.filosofia.3000.it/

Niklas Luhmann, nato nel 1927, è uno dei rappresentanti più autorevoli e originali del pensiero sociologico tedesco contemporaneo. La sua produzione scientifica è imponente: si è occupato di sociologia generale, di sociologia del diritto, di teoria politica, di sociologia della religione, di semantica storica, di etica e di ecologia. Ricco di una profonda preparazione filosofica, ha sempre prestato una particolare attenzione ai problemi teorico-epistemologici della sua disciplina: un'attenzione che emerge, si può dire, in tutte le sue opere (tra le quali, per restare a quelle tradotte in italiano, segnaliamo almeno Stato di diritto e sistema sociale , 1971; Sociologia del diritto , 1972; Potere e complessità sociale , 1975; Illuminismo sociologico , 1975; Struttura della società e semantica , 1960). Nella seconda metà del Novecento, lo studioso tedesco ha cercato di organizzare i propri princìpi e proposte generali in un'ambiziosa concezione d'assieme della società e della sua scienza, consegnata al vasto trattato Sistemi sociali.Lineamenti di una teoria generale (1984). E' stato Luhmann stesso ad attribuire alla propria concezione la denominazione di " funzionalismo strutturale " per sottolinearne la differenza rispetto allo "strutturalismo funzionale" del filosofo Talcott Parsons. In realtà l'opera luhmanniana può essere considerata in larga misura uno sviluppo di quella di Parsons, soprattutto se si tiene presente che anche per Luhmann il compito centrale della sociologia è quello di elaborare una teoria generale della società, in grado di pensare quest'ultima in rapporto a precisi fondamenti unitari. Non diversamente da Parsons, Luhmann respinge tutti gli indirizzi sociologici che si appagano di una mera rilevazione empirico-particolare di singoli eventi e processi. A suo avviso, ciò che manca alle scienze sociali moderne è anzitutto la comprensione del fenomeno sociale nelle sue determinazioni più generali. Per questa ragione Luhmann si è impegnato nell'elaborazione di nuovi concetti sociologici e si è sforzato di aprire prospettive metodologiche sempre nuove, nel tentativo di far corrispondere alla crescente complessità e variabilità delle società moderne teorie altrettanto complesse e sofisticate. Uno dei limiti principali della sociologia di Parsons sta per Luhmann nell'aver privilegiato il concetto di 'struttura' rispetto a quello di 'funzione'. Invertendo l'ordine dei concetti parsoniani, Luhmann pensa che il problema centrale della ricerca sociologica non è di cogliere le condizioni di sussistenza delle strutture sociali, ma di capire quali sono le funzioni svolte da determinate strutture (o sistemi) nel tentativo di mantenersi in equilibrio con l'ambiente. Quest'ultimo non è poi qualcosa di totalmente esterno o neutrale rispetto alle strutture: a causa della sua elevata e crescente complessità esso rappresenta una costante minaccia per la sopravvivenza dei sistemi sociali e va pensato in una prospettiva che lo collega organicamente ad essi. Mutuando nozioni elaborate dalla "teoria generale dei sistemi" (Bertalanffy), Luhmann sostiene che i sistemi sociali sono tanto più in grado di stabilizzarsi quanto più sono capaci di replicare in modo pertinente alla sfide provenienti dall'ambiente. Inoltre un sistema è in grado di resistere alla pressione dell'ambiente in stretto rapporto all'indice della sua complessità interna: quanto più la propria organizzazione interna è complessa, tanto più essa è in grado di tener testa alla crescente complessità e mobilità ambientale. Questa tensione fra sistema e ambiente è il nucleo generativo della sociologia funzional-strutturalista che Luhmann ha elaborato nel corso degli anni '70. Oltre al già notato particolarismo empiristico, un altro limite teorico di una parte della sociologia tradizionale era il determinismo, o almeno il suo uso meccanico e riduttivo della nozione di causa: un limite rispetto al quale la negazione indeterministica di tale nozione non rappresentava una risposta soddisfacente. Orbene Luhmann, lavorando sul concetto di funzione, si sforza di ridefinirlo in modo che risulti indipendente dal vecchio concetto di cause, nello stesso tempo, comprensivo di essa. A questo fine egli elabora la categoria della "equivalenza funzionale ", con la quale intende denotare la facoltà di fenomeni diversi di realizzare funzioni relativamente simili. Assunta come problema di riferimento una determinata causa, l'analisi delle equivalenze funzionali ordina un certo campo di effetti funzionalmente equivalenti rispetto a quella causa. L'attenzione scientifica risulta così rivolta alla descrizione di fenomeni la cui caratteristica è quella di poter produrre l'uno indipendentemente dall'altro il medesimo effetto. L'analisi dei fenomeni viventi (fenomeni sociali inclusi) offre un vasto campo di applicazione ad una ricerca così impostata; da Bertalanffy in poi, una delle proprietà fondamentali dei cosiddetti "sistemi aperti" era considerata infatti la capacità di comportamento "equifinale": la capacità, cioè, di raggiungere il medesimo stadio finale muovendo da punti di partenza diversi. Ora, per Luhmann, come l'individuo adulto di numerose specie biologiche può svilupparsi a partire da strutture embrionali diverse, lo stesso avviene per i fenomeni sociali: essi non dipendono da processi monocasuali o da precondizioni necessarie, ma da una pluralità di circostanze funzionalmente orientate verso una certa gamma di esiti possibili. Uno dei principi ispiratori di fondo della sociologia di Luhmann è l' anti-umanismo e l' anti-storicismo : egli concepisce infatti la realtà sociale come un intreccio di mere correlazioni sistema-ambiente, il cui gioco progressivamente sempre più complesso resta aperto a possibilità infinite. Nessuna "mano invisibile" guida segretamente la storia, selezionando provvidenzialmente i fatti e riducendo la contingenza dei fenomeni sociali (come invece credevano Hegel e Adam Smith).

L'evoluzione dei sistemi, la loro crescente complessità è affidata contro ogni filosofia della storia di tipo organicistico o finalistico, all'intervento di fattori non solo casualmente indeterminati, ma in larga misura sottratti alla possibilità di controllo dei soggetti umani. Anche sotto questo profilo l'opera luhmanniana costituisce una sfida molto aggressiva nei confronti di una ben precisa concezione del mondo sociale. Più in generale, ben precise analisi impongono per Luhmann l'abbandono di una parte del patrimonio intellettuale del vecchio continente.

La tradizione "vetero-europea", sostiene lo studioso tedesco è intrisa di elementi di filosofia sociale organicistica e finalistica. Essa si riferisce all'individuo concreto come a una "parte vivente" e relativamente autonoma della società, e (soprattutto) vede nel soggetto il pernio e l' "attore" principale degli eventi e dei processi sociali. Contro questi assunti Luhmann sostiene che nelle moderne società differenziali e complesse i veri protagonisti di tali eventi e processi non sono più gli uomini o i gruppi con i loro bisogni materiali e i loro 'valori', ma i ruoli e le funzioni, i sistemi e gli ambienti: tutto un mondo di 'datità' e relazioni in qualche modo oggettive, nel quale gli individui operano come meri elementi interscambiabili e perfettamente fungibili.

Considerati costitutivamente 'umanistici', illuminismo classico, materialismo marxista e storicismo sociologico appaiono a Luhmann altrettanto varianti moderne di una filosofia e di un'etica sociale arcaica. Il pensiero luhmanniano ha avuto particolare successo presso i giuristi e i sociologi della politica. Tale successo è dovuto all'eversiva concezione ch'esso delinea dello stato di diritto o della democrazia . Per Luhmann lo stato di diritto (e con esso il sistema democratico) non è il complesso delle procedure e delle istituzioni capace di ripartire e bilanciare il potere in funzione della garanzia dei diritti soggettivi, secondo l'ingenua pretesa ideologica della tradizione socialdemocratica: esso è invece la forma più sviluppata dell'autonomia, anzi dell'assolutezza¸ nel senso etimologico di 'sciolto da ogni legame' (esterno) del sistema politico moderno. In effetti, attraverso la positivizzazione del diritto lo stato moderno si è liberato da ogni vincolo proveniente da altri sottosistemi ideologico-sociali come la morale, la religione, il denaro-proprietà, i vincoli dinastici, ecc. A questo punto esso appare in grado di autolegittimarsi da sé solo, senza più alcuna necessità di far passare il riconoscimento del proprio essere attraverso l'effettivo consenso dei cittadini. Per Luhmann lo stato moderno può anzi operare presupponendo a priori il passivo consenso di questi ultimi, i quali si dispongono ad ubbidire senza particolari motivazioni. Del resto l'imponente aumento della complessità sociale, dei flussi di informazione e dunque delle competenze che sarebbero indispensabili per sorvegliare la gestione della cosa pubblica pone il cittadino nell'impossibilità di seguire attivamente tale gestione. Data questa situazione, considerata più o meno implicitamente immodificabile, non sorprende la presa di distanza critica di Luhmann dalla concezione classica della democrazia, intesa come responsabile partecipazione (diretta o indiretta) dell'individuo alla vita della società. Nei suoi saggi sociologici più recenti Luhmann ha insistito nel denunciare la distanza che separa la tradizione dell'umanesimo "vetero europeo" dalla realtà sociale dei passi industrializzati: una realtà sociale che la rivoluzione informatica contribuisce oggi a rendere sempre più complessa, dinamica e differenziata. In alcuni scritti lo studioso arriva a sostenere che la differenziazione dei sottosistema primari delle società complesse è così avanzata che ciascun sottosistema interpreta ogni altro, e interagisce con esso, esclusivamente dal suo specifico punto di vista. Ciò che viene a mancare è uno 'sguardo', una prospettiva in qualche modo unificante: anche la politica (che dovrebbe in certa misura essere questa prospettiva) si configura oggi semplicemente come un certo sottosistema, il quale opera senza sapere esattamente con che tipo di società ha a che fare. Con il già ricordato trattato Sistema sociale , Luhmann ha ulteriormente dilatato le ambizioni teoriche della propria sociologia. Già nel corso della sua precedente produzione egli aveva polemizzato sia contro lo speculativismo delle sociologie teoriche-novecentesche (dal nazionalismo critico alla sociologia di ispirazione fenomenologica, dal marxismo ortodosso al neo-marxismo della scuola francofortese) sia contro la pretesa delle sociologie di ispirazione più empirico-scientifica di potersi avvalere di criteri epistemologici certi. Nel suo lavoro egli pare voler accentuare ancora più la distanza della propria riflessione da qualsiasi precedente teorico: il rifiuto dei presupposti fondazionali della 'vecchia' sociologia si fa radicale non meno forte quello delle procedure argomentative canoniche del pensiero sociologico. Una sociologia davvero seria deve, a suo avviso, costruire un linguaggio concettuale rigorosamente nuovo ed autonomo, capace di tematizzare in modo adeguato l'irriducibile "complessità" dell'universo sociale e di analizzare, l'oggettivo funzionamento di quella serie di sistemi e sottosistemi "autoreferenziali" (cioè fondati autonomamente su se medesimi, e indipendenti da soggetti, fini e valori esterni ai sistemi stessi) in cui consiste

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